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Boateng ci ripensa: “Ero una testa di ca..o perché…”

Boateng

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Spesso passato alla cronaca più per i suoi eccessi che per le prestazioni in campo, Kevin Prince Boateng ripensa alla sua carriera, a quello che poteva essere e quello che è stato.

Intervenuto ai microfoni di Repubblica, l’ex calciatore di Sassuolo e Barcellona ha parlato del suo momento con la maglia della Fiorentina e non solo. Dalla prossima sfida contro la Juventus al tema del razzismo.

CAMPIONATO – “Juventus? Si può fare tutto in 90 minuti. Io con l’Eintracht Francoforte ho vinto una coppa contro il Bayern. Serve la giornata perfetta per la Fiorentina e una meno buona della Juve, che ha i fuoriclasse anche in panchina”. “Chiesa? Ha capito che rimane qua. È giovane, lo capisco: ci sono tante voci di grandi squadre e puoi risentirne, ma lui deve fare benissimo qui, è molto forte e vuole l’Europeo. Lo vedo tranquillo. Se non lo è, lo metto a posto io”.

NAZIONALE – “Ghana e non Germania? Tanti mi dicevano che non avrei trovato spazio nella Germania. Ma non ho fatto questa scelta per quel motivo. So esattamente chi ero nel 2010: nessuno era più forte di me. Avevo una testa diversa, io dico quello che penso, non assecondo gli allenatori, cerco il confronto. In Germania vogliono più disciplina e meno qualità. Hanno vinto il Mondiale, non gli si può dire niente. Io sono andato in cerca delle mie origini. E ho guadagnato una cosa molto più importante: sapere chi sono, da dove vengo”, ha detto Boateng.

RAMMARICO – “Torno indietro e dico: non ho preso il calcio come un lavoro. Ero una testa di c…o. Avevo talento, ma mi allenavo il giusto, un’ora in campo, ero l’ultimo ad arrivare e il primo ad andare via. Stavo fuori con gli amici. Avevo soldi, ero il re del quartiere. Non sono mai stato in palestra. Questo ti cambia la carriera, dopo. Ho comprato tre macchine in un giorno quando ero al Tottenham: Lamborghini, Hammer e Cadillac. Ai giovani dico: non puoi comprare la felicità. Io non giocavo, avevo problemi familiari, ero fuori rosa. Cercavo la felicità nelle cose materiali”.

RAZZISMO – “Penso anche al bambino di tre anni preso a calci a Cosenza per il colore della sua pelle, è l’episodio che mi fa più male. I cori allo stadio vogliono ricordarci quando i nostri nonni erano schiavi. Ma chi fa quei cori, prima che razzista, è un ignorante. E l’ignoranza va abolita. A scuola, bisogna introdurre un’ora di integrazione: dobbiamo ripetere ai bambini che siamo tutti uguali. Loro sono il nostro futuro”.

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